Omelia XXV Domenica T.O.-A

(Matteo, 20,1-16)

Festa di Sant'Eufrosino, Patrono del Chianti

Ave Maria!

Il Vangelo mette, di volta in volta, un sigillo di straordinaria bellezza negli anfratti della vita quotidiana, ovvero del passaggio di Dio che ci cerca e ci trova sempre! L’area della ricerca che Dio compie, in ogni caso, è quello del livello più basso e quasi insignificante della storia e dove i grandi eventi non sono, ad esempio, l’impero romano o la nazione di Israele, bensì la Samaritana, Zaccheo, Pietro e Giacomo, la donna cananea, il centurione romano. Povera gente che vive ai margini di questi colossi della storia, e che ne subisce i contraccolpi e le vicende del potere. E come sottolinea stupendamente il noto teologo Pierangelo Sequeri: “la vita quotidiana, che prende una profondità impensabile e rimane normale, - e della quale agli imperi non importa niente -, è il luogo delle infinite storie con Dio che si accendono (e si spengono, se sei distratto) in dieci minuti, mezz’ora al massimo: “Vieni e seguimi”, “Va’ la tua fede ti ha salvato”, “devo venire a casa tua”, “Ti darò un’acqua infinitamente migliore” (Cfr. P. Sequeri, Intorno a Dio, intervista di Isabella Guanzini, Editrice La Scuola, Brescia 2010, pp. 71-72). E aggiunge: “ La religione ha senso per questo. Oppure non ne ha alcuno. Di qui si giudica l’intera storia: del mondo e anche della religione”. Oggi, la parabola raccontata da Gesù, ci mette di fronte a una storia simile poiché ci parla ancora di questa povera gente, - potremmo dire anche di disoccupati o senza lavoro fisso -, che attende di guadagnare qualcosa per avere un pranzo o una cena da offrire alla famiglia.
 
Senza dubbio si tratta di una delle parabole più sorprendenti e provocatorie di Gesù. E’ stata chiamata, infatti, la “parabola degli operai della vigna”, ma in realtà il protagonista è il padrone della vigna, sebbene altri l’hanno definita “la parabola del padrone che voleva lavoro e pane per tutti”. Quest’ultima definizione è quella che coglie nel segno. Di fatto, il padrone della vigna si reca personalmente in piazza per assumere diversi gruppi di lavoratori: i primi alle sei del mattino, altri alle nove, poi più tardi a mezzogiorno e anche alle tre del pomeriggio. Gli ultimi li assume alle cinque, quando manca soltanto un’ora al termine della giornata e del lavoro! A ben pensarci, la sua condotta è davvero strana: non sembra spinto tanto dalla vendemmia o dal suo profitto, quanto piuttosto dal fatto che quella povera gente non rimanga senza lavoro. Esce, quindi, anche all’ultima ora per dare lavoro a quelli che nessuno ha chiamato. Così, non sorprende che, al termine della giornata di lavoro, dà a tutti il denaro di cui hanno bisogno per cenare quella sera, e perfino a quelli che non l’hanno guadagnato con il loro lavoro. E quando i primi operai protestano, la sua risposta è altrettanto incredibile: “ Sei invidioso perché io sono buono?”.
 
Cosa sta suggerendo Gesù con un racconto così impensabile, almeno dal punto di vista umano? Forse vuole suggerire che Dio non agisce con quei criteri di giustizia e di uguaglianza a cui siamo abituati? E sarà vero che Dio, più che misurare i meriti delle persone, cerca in definitiva di rispondere alle nostre necessità? In realtà, in base ai nostri criteri umani, troppo umani per così dire, non è facile affatto credere a questa bontà insondabile di Dio, a questa bontà di cui parla Gesù. Di fatto, tutti i nostri schemi su Dio vacillano ad un tratto allorché, nella parola di Gesù, fa la sua apparizione questo amore libero, assoluto e insondabile di Dio. Gesù sembra dimenticarsi, - si direbbe -, dei “pii” o dei “devoti”, carichi di meriti per l’osservanza rigorosa della legge, mentre si accosta piuttosto a quelli che sembrano non avere alcun diritto alla ricompensa da parte di Dio: i peccatori che non osservano l’Alleanza o le prostitute che non hanno accesso al tempio. Così ci chiudiamo nei nostri calcoli su Dio, senza lasciare a Dio la libertà e l’amore di essere buono con tutti. Inoltre, non si deve mai dimenticare, o per meglio dire continuare a scoprire, che non fu affatto il rigore o la radicalità di Gesù a provocare irritazione e rifiuto da parte dei pii israeliti, ma il suo annuncio di un Dio “scandalosamente buono”. La croce di Gesù parte proprio da questo annuncio!
 
In verità, l’immagine che non pochi cristiani continuano a farsi di Dio è un “miscuglio” di elementi eterogenei, diversi e addirittura contradditori, e che continuano a meravigliare atei o agnostici. Così alcuni elementi provengono dall’insegnamento di Gesù, altri dal Dio “giustiziere” dell’Antico Testamento, altri ancora dalle proprie paure e dai propri fantasmi: allora la “bontà” di Dio verso tutte le sue creature (compreso l’universo, la natura e gli animali) resta come persa e distorta. E dunque uno dei compiti più grandi della comunità cristiana sarà sempre quello di approfondire ancora di più l’esperienza di Dio vissuta da Gesù e, per questo, sempre alla sua scuola, mai da soli o nel proprio privato, pena la perdita dell’esperienza reale di Dio. Mai senza la guida Chiesa, guidata dallo Spirito Santo che la conserva nella verità e la custodisce, nonostante peccati e dimenticanze.
A ragione, quindi, possiamo dire che Dio è un “mistero insondabile”, mentre dobbiamo confessare, con lealtà e onestà del cuore, che molte volte – e soprattutto oggi che regna una grande confusione – proprio noi cristiani, e soprattutto noi ecclesiastici più o meno di grido, parliamo di Lui come se l’avessimo visto o conoscessimo perfettamente il suo modo di vedere le cose, di sentire e di agire. Il guaio è che, rinchiudendolo nelle nostre visioni ristrette e adattandolo, di volta in volta, sui nostri schemi mentali del momento, finiamo sempre per rimpicciolirlo al punto che parliamo di un Dio poco umano, come noi, a talvolta meno umano. Dopo tutto, la verità, per uscire dalla nostra confusione, è che soltanto i
testimoni di questo Dio, - non chiunque parli di Dio -, sapranno dare una speranza diversa anche al mondo di oggi.
 
Oggi, nella nostra Pieve di San Leolino, celebriamo anche la memoria liturgica di Sant’Eufrosino, Patrono del Chianti, e che quest’anno a causa del coronavirus, non possiamo celebrare nella chiesa a lui dedicata a pochi passi da San Leolino. Meta di pellegrinaggi, per molti secoli, dell’intera Toscana e che venivano in questa chiesa sorta nel luogo dove egli aveva vissuto, battezzato tante persone, fatto miracoli e dove è il suo sepolcro. Con Sant’Eufrosino siamo nel VII-VIII secolo dopo Cristo e il suo stesso nome indica chiaramente che egli veniva dall’Asia minore (l’attuale Turchia). Non sappiamo, come sapete, molte cose della sua vita e della sua personalità. Ma sappiamo l’essenziale, grazie alla storia e soprattutto alla tradizione di fede della Chiesa che ce ne ha conservato la memoria di santità. Come è sempre accaduto per molti santi di quei secoli e di cui non si stendevano per iscritto le biografie, come abbiamo cominciato a fare solo con l’epoca moderna.
In effetti, in quel secolo VII, molta parte dell’Italia era sotto il dominio dei Longabardi, un popolo venuto dal nord dell’Europa, e prevalentemente “ariano”, cioè che non credeva alla divinità di Cristo o pensava che Gesù era solo un inviato da Dio e niente più. Non il Figlio unigenito del Padre, come credeva la Chiesa delle origini. L’eresia ariana, nata nel IV secolo, è stata l’eresia più pericolosa e nefasta che abbia colpito il cristianesimo primitivo e che avrebbe potuto spazzare via l’intera tradizione degli Apostoli, dei Vangeli e della Chiesa primitiva. Non per nulla fu combattuta aspramente da tutti i grandi Padri della Chiesa, mentre venne condannata dal primo Concilio della Chiesa a Nicea. In ogni caso, per l’Italia, c’era il problema di riconvertire i Longobardi alla fede genuina e, a questo scopo, Roma cominciò a mandare dei “missionari” nel nord Italia, nel centro e fino alla Campania. Sant’Eufrosino era uno di questi missionari. E indubbiamente, la ragione di questi missionari, fatti venire dalla lontana Asia minore, risiedeva nel fatto che essi erano più colti e più preparati, sotto il profilo teologico e spirituale, rispetto a quelli latini. L’Oriente cristiano, infatti, anche a motivo della grande tradizione greco-bizantina, aveva una tradizione cristiana molto forte e per di più maturata proprio nel fronteggiare le eresie che erano nate proprio in Asia Minore. Come quella di Ario, un prete di Alessandria d’Egitto, nonché iniziatore dell’eresia ariana. La primissima eresia del cristianesimo.
Tutto questo lo conosciamo dai documenti storici che, almeno nell’ambito dei fatti, sono inequivocabili e facili da consultare. Ma poi, anche nel caso di Sant’Eufrosino, c’è la tradizione di fede della Chiesa che ci tramanda, con la sua tradizione liturgica e anche iconografica, queste figure di cristiani e cristiane esemplari per aiutare i cristiani comuni ad avere fede in Gesù Cristo e a seguirlo con generosità e verità. Tutti i cristiani, in virtù del loro battesimo, sono santi, come direbbe San Paolo, ma questi santi entrati nella vita liturgica, nella preghiera della Chiesa, lo sono in modo particolare dal momento che intercedono per noi e sono modelli per noi di vita cristiana. In effetti, nel dichiarare santi e sante, la Chiesa è rigorosissima e lo è stata fin dall’inizio con il sottoporre i loro casi ad un vaglio critico, in cui nulla viene lasciato da parte o al caso, per essere accuratamente esaminato sotto il profilo della fede, della carità e della speranza. E il Signore, nella sua grande bontà e misericordia, pone un sigillo alla fede della Chiesa con il concedere a questi sante e sante la possibilità di ottenere da Lui i miracoli e che attestano, in fin dei conti, che questo o quella santa lo è in maniera speciale e cioé in aiuto della fede della sua Chiesa.
 
E’ questo anche il caso di Sant’Eufrosino. I miracoli avvenuti nel luogo in cui il santo è vissuto, ma anche oltre quel luogo, dicono essenzialmente che egli non solo ha vissuto la fede in tutta la sua pienezza, ma ha testimoniato agli altri il Vangelo e la sua salvezza. E questo è vero e reale, ben più di cento biografie dettagliate e scritte da mano umana. I santi e le sante parlano con la loro vita orientata e vissuta dalla parte del Vangelo di Gesù Cristo. Che cos’è, dopo tutto, la santità cristiana? Qual è l’ideale spirituale a cui tutti noi cristiani dovremmo tendere normalmente, ricorrendo alle grazie ottenute per noi da Gesù Cristo sulla croce e che viviamo nella vita dei sacramenti? Così la santità cristiana è di due tipi: quella che si raggiunge per la via “ordinaria” della virtù quotidiana e l’altra che si raggiunge per la via “straordinaria” delle grazie mistiche che sono puri doni di Dio. Ma nell’uno e nell’altro caso, la santità è la stessa: l’amore, la carità è l’essenza della santità cristiana. La carità, nel santo o nella santa, riunisce tutte le altre virtù attorno a sé e in un certo senso le include tutte poiché è soltanto la carità che unisce l’uomo a Dio, - come è attestato nel Vangelo di Gesù -, come al suo fine ultimo. Di fatto il santo ama Dio per lui solo e vive per Dio soltanto, escludendo così ogni attaccamento disordinato a sé stesso. Ed anzi a tutto ciò che, nella vita e nelle decisioni, possa escludere il primato assoluto di Dio (Thomas Merton).
 
E’ in questa prospettiva spirituale che noi veneriamo Sant’Eufrosino e lo preghiamo perché possa intercedere presso Dio a favore della nostra vita e soprattutto della nostra vita di fede. E il Signore ci incoraggia in tutto questo con un “segno”, particolarissimo, purché noi sappiamo leggerlo in maniera profonda e spirituale (come nei miracoli clamorosi o eclatanti): per secoli e secoli, infatti, i cristiani del Chianti non hanno mai dimenticato l’esempio, la testimonianza, l’intercessione di Sant’Eufrosino. Fino ad oggi. Non è questo un miracolo di Dio, dal momento che gli uomini dimenticano assai presto ed anzi cancellano il passato, anche il passato della fede, con estrema superficialità e noncuranza?Cancellando così anche la memoria di Dio? Infine, vorremmo citare una suggestiva espressione proprio di Thomas Merton che suona così: “ Esiste una sola e unica vocazione. Che tu insegni o vivi in clausura oppure assisti i malati, che tu faccia parte o meno di un ordine religioso, non importa chi o cosa tu sia, sei chiamato all’apice della perfezione: essere un contemplativo e trasmettere agli altri i frutti della tua contemplazione”. E cos è la contemplazione se non accettare come cardine della nostra vita l’amore di Dio donato a noi in Gesù? Come quel giovane sacerdote di Como, don Roberto Malgesini, ucciso in questi giorni da uno squilibrato e al quale aveva donato tanto e disinteressato aiuto per tanti anni. Questo prete degli ultimi, dei diseredati e gli scarti della società, non avrebbe potuto vivere questo eroismo della carità, se nel suo cuore non ci fosse stato l’amore di Dio come regola di vita. I frutti di questa sua contemplazione, quindi, erano per lui cercare, ai quattro angoli della città, cibo e vestiti per questa povera gente che sono gli immigrati. Che esempio meraviglioso e invidiabile di vera fede cristiana, che forse il Signore ha voluto indicare con un martirio della carità!
Continuiamo, allora, nella fede, ad accettare i doni di Dio che sono i suoi santi e le sue sante, e preghiamo con loro perché il Signore Gesù faccia anche a noi il dono della santità, in questa vita e nell’altra. Amen.

 

 

don Carmelo Mezzasalma
San Leolino, 19 settembre 2020

 

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